Ricorda Signore, questi servi disobbedienti alle leggi del branco,
non dimenticare il loro volto che dopo tanto sbandare
è appena giusto che la fortuna li aiuti.
(Fabrizio De Andrè, Smisurata Preghiera)
non dimenticare il loro volto che dopo tanto sbandare
è appena giusto che la fortuna li aiuti.
(Fabrizio De Andrè, Smisurata Preghiera)
VIDEO IN CODA ALL'ARTICOLO.
C’è
un vento che soffia forte, in questa terra. È il vento arido della
disoccupazione, il vento soffocante del si salvi chi può, un imperante
io speriamo che me la cavo. I disoccupati in Italia sono 2,7 milioni,
mentre tra le file dei cassintegrati e quelli che vengono chiamati
“scoraggiati” si contano 1,687 milioni di persone. Più di 4 milioni di
persone oggi stanno soffrendo per la perdita del lavoro, per la
precarietà della vita.
Tra questi ci sono i 2000 lavoratori dell’appalto postale,
duemila persone che non appaiono, di cui in pochi hanno deciso di
parlare oltre a noi. Non vanno in cima ai silos, non si cospargono di
benzina, eppure quotidianamente percorrono il proprio calvario.
Attualmente,
per quanto sparsi in tutta Italia, molti di loro abitano in “via della
cassa integrazione”, una sorta di limbo, di trampolino di lancio verso
il baratro. Il primo di luglio di questo anno Poste Italiane ha deciso
di tagliare più del 50% del personale esterno, non rinnovando le gare di
appalto in 50 sedi, ed inoltre ha tagliato di un valore percentuale
molto alto il ricavo delle poche gare di appalto che ha espletato.
Su più di tremila lavoratori, duemila se ne resteranno a casa, chi prima, chi dopo.
E tutto questo nonostante sia un’azienda ad azionariato statale, nonostante un attivo di 846 milioni di euro, nonostante l’avviamento da ex monopolista la renda di fatto irraggiungibile da qualsiasi concorrente.
E tutto questo nel silenzio, come se fosse giusto, normale. Chi se ne frega delle urla di queste persone,
che tanto si perdono nel vento arido della desertificazione del lavoro.
Disoccupato in più o in meno, chi vuoi che se ne freghi?!
Lo deve aver pensato Massimo Sarmi,
amministratore delegato di Poste Italiane, quando ha preso questa
decisione, nel bel mezzo dei festeggiamenti dei 150 anni di Poste: quale
miglior modo per festeggiare? Mica bastava alla festa la sua frugale
remunerazione di oltre un milione e mezzo di euro l’anno.
È quello che deve aver pensato il ministro Corrado Passera, chiamato a riferire in Commissione trasporti, in Parlamento, quando ha semplicemente detto: «pensare di riassorbire il personale esterno è molto molto difficile». Tanto
lo stipendio, la pensione, le indennità, tutto ciò che deriva da essere
parte delle maggiori lobby mondiali, a lui chi glielo taglia?
Per carità. I tecnici non pensano ai diritti o a ciò che è umano, loro sanno ciò che è giusto, per tutti.
Gli
umili cittadini presi a schiaffi dal potere centrale devono stare
zitti, magari addirittura attivare venti Poste pay a testa e comprare
decine di libri di cucina quando sono in fila agli sportelli, se
richiesto.
Ai
signori tecnici non viene in mente che se “Poste” si chiama così,
magari è perché dovrebbe portare la Posta senza fare disservizi
(derivati spesso dalla mancanza di personale), e che servizi finanziari,
libri di cucina, pupazzi, computer, assicurazioni, sportello mutui e
gratta e vinci, tutti insieme come in un triste bazar da cinepanettone,
sono un surplus. Le parole sono importanti. Ma per carità, le vie dei
tecnici sono infinite.
Infinite, però, non sono le vie dei lavoratori che si ritrovano in cassa integrazione.
Il quadro che hanno davanti è: altri 9 mesi retribuiti con alcune
centinaia di euro in meno rispetto allo stipendio, non sapere dove
andare a cercare lavoro, che tutto in città sta chiudendo, la mancanza
di possibilità di tirare su un’attività privata (chi li presta i soldi a
un cassintegrato?), e infine lo sconforto.
L’unica
cosa è protestare, chiedere nuovamente indietro quel lavoro svolto
egregiamente per anni, senza battere ciglio, chiedere di tornare a
vivere come essere umano, cittadino, con diritti oltre che doveri.
I duemila lavoratori cassintegrati
degli appalti postali non hanno mollato la presa, non sono arretrati di
un centimetro, e oggi come tre mesi fa chiedono a gran voce il proprio
lavoro indietro. Perché non ha senso che un’azienda (para)statale in un
periodo di crisi getti 2000 persone per strada, non ha senso che
un’azienda (para)statale in attivo licenzi 2000 persone (quando, tra
l’altro, si tratta di un appalto). E da che mondo è mondo, appaltando
qualcosa ci si guadagna, non ci si perde.
Il vento soffia forte, sul viso, ma le loro voci sono più forti. Alle loro voci si è aggiunta quella di Dario Fo e Franca Rame, che hanno loro dedicato un articolo sulle colonne de Il Fatto, si è aggiunta quella di Giulietto Chiesa e Pandora Tv che hanno additato il sistema ipocrita, che taglia a caso e fa mendicare lo Stato, si è aggiunta la voce di Lele Corvi che ha regalato una vignetta, quella di Fulvio Abbate e quella di Paolo Ruffini (entrambi hanno fatto un video di sostegno).
E molte altre voci si attesteranno sulla linea dei lavoratori dell’appalto postale, le truppe d’appalto.
Per
chi non se ne fosse accorto, è iniziata una nuova resistenza, i
disoccupati di oggi sono i nuovi partigiani, quelli che possono ancora
permettere al futuro di non sgretolarsi, combattendo dietro barricate
differenti, ma pur sempre barricate. In gioco c’è il futuro dei figli,
di un welfare state collassato, di tutto uno stato, il nostro futuro.
da MEGAchip
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